Qualificazione delle sentenze pronunciate secondo equità e possibilità di appello

Per effetto della riforma dell’art. 339 c.p.c. del 2006, le sentenze del Giudice di Pace pronunciate secondo equità – in passato inappellabili ma unicamente ricorribili per cassazione – sono appellabili ma in relazione a solo tre motivi specifici di impugnazione espressamente individuati dalla legge.

Gli articoli di riferimento sono:

Art. 10 c.p.c. “Della competenza per materia e valore”:

1. Il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti.

2. A tale effetto le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro, e gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione si sommano col capitale.

Art. 113 c.p.c.Pronuncia secondo diritto”:

1. Nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità [disp. att. 119].

2. Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede i millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del c.c..

Art. 339 c.p.c. “Appellabilità delle sentenze”:

1. Possono essere impugnate con appello le sentenze pronunciate in primo grado, purché l’appello non sia escluso dalla legge o dall’accordo delle parti a norma dell’articolo 360, secondo comma.

2. È inappellabile la sentenza che il giudice ha pronunciato secondo equità a norma dell’articolo 114.

3. Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.

In prima battuta ci occuperemo di quando una sentenza del Giudice di Pace è da considerarsi emessa secondo equità.

La Suprema Corte ha più volte ribadito che per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339, c. 3, c.p.c. occorre assumere a riferimento non già il contenuto della decisione, ma il valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 c.p.c. e ss. e senza tenere conto del valore indicato dall’attore ai fini del pagamento del contributo unificato (ex multiss cfr. Cass., Sez. un., 16/06/2006, n. 13917; tra le decisioni più recenti cfr. Cass. 18/01/2018, n. 1210Cass. 24/05/2019, n. 14174).

La recente Sent. n. 33219/2021 ha ulteriormente ribadito che: “ove l’attore abbia formulato dinanzi al Giudice di Pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento Euro (limite dei giudizi di equità cd. necessaria, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2), accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente “maggior somma che sarà ritenuta di giustizia”, la causa deve ritenersi – in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell’art. 14 c.p.c. – di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude è appellabile senza i limiti prescritti dall’art. 339 c.p.c. (Cass. 12/02/2018, n. 3290Cass. 11/06/2012, n. 9432)”

Con riferimento ai motivi per i quali può essere appellata una sentenza ex art. 339, c. 3, c.p.c., la Suprema Corte ha specificato che “in tema di impugnazione delle sentenze del giudice di pace, pronunciate secondo equità, l’appello per violazione dei principi regolatori della materia è inammissibile, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., qualora non indichi i principi violati e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga con essi in contrasto” (Cfr. Cass. Sez. VI – 2, ord. n. 3005/2014).

L’appello che denunci la violazione di un principio regolatore della materia, deve con chiarezza indicare specificatamente qual è il principio violato e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga in contrasto con esso, trattandosi di principi che – non essendo oggettivizzati in norme – devono essere individuati da chi ne lamenta la violazione e soltanto successivamente verificati dal giudice di legittimità prima nella loro esistenza e quindi nella loro eventuale violazione (Cfr. Cass. n. 284/2007; Cass. n. 8466/2010).

La Suprema Corte, con le Sent. nn. 5287/2012 e 9976/2016, ha ulteriormente chiarito che la violazione delle norme di diritto sostanziale non rientra tra i motivi tassativi previsti dall’art. 339, c. 3, c.p.c., quindi, la violazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova che pone una regola di diritto sostanziale e la sua violazione dà luogo a un error in iudicando, non è deducibile in appello per le sentenze emesse secondo equità.

In ultimo, specifico che, a norma dell’art. 27, comma 1, lett. a), numero 3) del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, la parola: «millecento» è sostituita dalla seguente: «duemilacinquecento»; ai sensi dell’art. 32, comma 3 del d.lgs. 116 cit., come da ultimo modificato dall’art. 8-bis, comma 1, lett. b), D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, conv., con modif., in l. 28 febbraio 2020, n. 8, le disposizioni di cui all’art. 27 citato entrano in vigore il 31 ottobre 2025.

Quindi, se rimarranno così le cose, dal 31.10.2025, quando la competenza del GDP sarà per le cause fino a 30.000 euro, si considereranno pronunciate secondo equità le sentenze con valore sotto i 2.500 euro e le stesse saranno, di fatto, inappellabili… 

Avv. Giovanni Frasca

frasca@fidelioguastella.it